Storia di San Pietro da Verona, martire

Nacque a Verona nella famiglia de’ Rosini in un periodo agitato da lotte religiose e civili, ricche di vizi e di virtù, all’inizio del XIII secolo. Il biografo del Santo, Padre Tommaso da Lentini, saluta Pietro «luce che sorge dalle tenebre, rosa dalle spine, fiore che spunta dal fango, rifulge nel chiostro e splende nel cielo».

Si ignora se i genitori aderissero all’eresia Catara (o Albigese); probabilmente qualcuno nella parentela vi faceva parte, si parla di uno zio avvocato che occupava nella setta un posto direttivo e che sperava di avere nel nipote un continuatore delle sue eresie.

Ma Pietro, recatosi a Bologna per intraprendere gli studi universitari, entrò nell’ordine domenicano e San Domenico stesso lo accolse nel suo ordine attorno all’anno 1220 o 1221.

Quasi trentenne nell’anno 1232 Pietro era venuto a Milano per predicare la parola di Dio: l’aveva prescelto e mandato in quella città in una missione speciale contro gli eretici, Papa Gregorio IX.

Il Capitolo Provinciale di Bologna del 1233 lo assegna ufficialmente al Convento di S. Eustorgio di Milano e nell’anno 1234 con la sua tattica e con l’autorità conferitagli dal Pontefice riuscì a far inserire negli statuti di Milano il decreto di Papa Gregorio IX contro gli eretici.

Il miracolo di Narni di Vincenzo Foppa, cappella Portinari

Nell’anno 1240 fu eletto priore del convento di Asti e stessa carica gli fu conferita per il convento di Piacenza nel 1242.

Verso la metà del 1244 fr Pietro era a Firenze, mandato da Papa Innocenzo IV per sostenere con la sua parola l’azione del Vescovo Ardingo e quella dell’inquisitore fr Ruggero da Calcagni contro gli eretici Patarini.

Fu proprio nell’anno 1244 che il podestà di Firenze, Bernardino di Rollando Rosso concedeva «dietro istanze e domande del carissimo fr Pietro» che si ingrandisse la piazza dinnanzi a S. Maria Novella «per poter tenere le predicazioni a volontà del detto frate Pietro e degli altri frati del convento di S. Maria Novella».

Nel 1249 fr Pietro era ad Ancona mandato come priore nella città dei Guelfi e Ghibellini. Nell’anno 1251 gli veniva affidata la carica di priore del convento di Como, e lo stesso Papa Innocenzo IV lo istituisce inquisitore apostolico per la regione lombarda. Come inquisitore non ebbe tempo per iniziative di particolare rilievo. A quanto sembra l’unica che intraprese gli costò la vita e non fu quindi condotta a compimento.

San Pietro ucciso con un falcastro da Carino da Balsamo

La domenica delle palme del 1252 intimò ad alcuni sospetti di eresia di sottomettersi alla Chiesa, minacciando di procedere contro di essi nel caso si rifiutassero.

Poi tornò a Como per celebrare la Pasqua con la comunità di cui era priore.

Il sabato in albis (6 aprile, sabato dopo Pasqua), mentre sulla “Via Canturina” era in viaggio per Milano, con l’intenzione di continuare la sua opera, venne ucciso con un falcastro da Carino da Balsamo, nei pressi di Seveso, nel luogo dove ora sorge il santuario a lui dedicato.

Carino nuovamente arrestato diede segni di pentimento e ravveduto prese l’abito dei Domenicani a Forlì ove morì lasciando larga fama di virtù, acquistandosi il nome di venerabile. Fu successivamente proclamato beato.

Carta de Sancto Pietro Martyre

È la lettera che tratta del martirio di S. Pietro, scritta da fr Roderico d’Atencia spagnolo, inviata a fr Raimondo da Penafort, rinvenuta da P. Francesco Balme nella Biblioteca della Università di Bologna e da lui pubblicata nel 1886 di cui si dà una versione volgarizzata.

Fr Roderico molto probabilmente doveva essere venuto in Italia per prendere parte al Capitolo Generale dell’anno 1252 del suo ordine che si celebrò a Bologna il 19 maggio, e pare che abbia avuto incarico di addentrarsi nella conoscenza dei particolari del martirio di fr Pietro.

Basilica di Sant’Eustorgio

«Dovete sapere che in Lombardia a causa delle guerre gli eretici godevano una maligna libertà per spargere impunemente il veleno dei loro pravi errori e che il Papa transitando or non è molto per quella regione e avutone sentore, aveva istituito inquisitori e distribuito nelle diverse città frati capaci del nostro Ordine affinché forti del potere apostolico, li ricacciassero dal territorio lombardo.

Tra questi inquisitori nella zona di Milano e di Como dove il Papa sapeva che l’esercito degli eretici era più potente per numero e malizia, aveva posto il Priore dei frati di Como, fra Pietro da Verona, combattente valoroso e campione adusato nelle lotte del Signore fin dalla sua puerizia, il quale esercitando con coraggio e diligenza l’ufficio dell’inquisizione, metteva in fuga e a bando gli eretici.

Per questo motivo gli eretici di Milano e di Como, Bergamo, Lodi e Pavia ordirono una congiura per mettere a morte i frati e precisamente due di essi, fra Pietro e fra Rainerio Sacconi da Piacenza, che un tempo era stato un loro grande eresiarca. Per avere dunque vittoria dei cattolici gli eretici si accanirono soprattutto contro questi due.

A esecutori del loro malvagio disegno scelsero o meglio comprarono con molto denaro due sicari: ma la cosa non rimase nascosta ai servi di Cristo che, ciononostante, non desistettero neppure minimamente dalla loro energica opera di giustizia. Ora dovendo fr Pietro recarsi a Milano per causa della fede nella domenica che cade nell’ottava di Pasqua, iniziò da Como il suo viaggio nel sabato precedente. Così al mattino per tempo aveva già preso la benedizione e stava per mettersi in viaggio quando ad un tratto gli venne l’idea di celebrare la Messa della Resurrezione.

San Pietro da Verona del Guercino (1591 – 1666)

E poiché aveva l’abitudine di confessarsi spesso, gettandosi ai piedi di un confratello che doveva andare con lui, fece una confessione più lunga e più minuziosa del solito, come testimoniò a viva voce il predetto confratello.

Quindi celebrata con divozione la Messa, si mise in viaggio con altri tre frati. Per gran tratto di strada, come riferiscono poi i suoi confratelli, non fece altro che narrare le gesta gloriose di alcuni martiri. Finito il racconto, contro il suo solito, intonò a gran voce la sequenza “Victimae paschali laudes” e a lui si unì subito fra Domenico che doveva essere suo compagno nel prossimo martirio. […]

Quando questa fu finita, essendo già l’ora di pranzo entrarono in Meda, un paesello della Diocesi di Milano, e per non essere di aggravio agli ospiti, si divisero in due gruppi. Mentre gli altri due frati si avviarono da una parte, fra Pietro con fra Domenico si diressero al Monastero, dove trovato apparecchiato il pranzo, mangiarono in fretta ed inviato un messo agli altri frati per avvisarli della loro partenza e per dir loro che finito il desinare lo seguissero ripartì subito quasi per correre verso la corona.

A due miglia di distanza c’era un borgo e non molto lontano un bosco dove stavano in agguato i due sicari, cioè i due ministri di satana.

Avvistati i frati da lungi i due parlottarono della loro strage ma uno di essi, Albertino Porro ‑ detto Mignifo ‑ da Lentate, preso da un pentimento e provando orrore di farsi complice di un così grave delitto, si separò dall’altro e si avviò di corsa verso il predetto borgo. Incontrati gli altri due frati, rivelò loro tutta l’iniqua imboscata tra le lacrime. Allora i due frati si misero a correre con quanta forza avevano, nella speranza di poter salvare fra Pietro, ma quando giunsero l’altro ministro di satana, Carino da Balsamo, lo aveva già crudelmente trucidato con cinque colpi di roncola.

Come testimoniò il suo compagno che gli sopravvisse sei giorni, fra Pietro mentre veniva colpito, sull’esempio del Salvatore, non emise un lamento, non fece alcun gesto di difesa né alcun tentativo di fuga, ma sopportando con fortezza perdonò con bontà a chi lo colpiva e pregando per lui con le braccia protese verso il cielo e ripetendo con chiara voce “nelle tue mani o Signore raccomando il mio spirito”, rese la sua anima immacolata a Cristo crocifisso e risorto.

Si era nel primo pomeriggio. Abbattuto fra Pietro, il ministro di Satana si scagliò contro il suo compagno fra Domenico e lo ferì mortalmente con alcuni colpi. Un contadino che aveva osservato il fatto da lontano, corse audacemente sul posto e infiammato di giusto zelo catturò e legò l’autore del delitto che restò così preso nei lacci delle sue scelleratezze. Così quando arrivarono gli altri due frati trovarono che fra Pietro palpitava nell’estrema agonia, il suo compagno ferito a morte e catturato colui che aveva sparso tanto sangue innocente. Essi con l’aiuto di persone che erano frattanto accorse trasportando la salma di fra Pietro alla volta di Milano, la deposero per quella notte in una chiesa nei pressi della città. Il mattino seguente sparsasi la notizia per la città, tutti ne rimasero commossi e l’Arcivescovo ed il Podestà uscirono incontro al feretro con tutto il clero ed il popolo. La salma fu deposta al centro della città, nella piazza del Comune e ivi l’Arcivescovo parlando dinnanzi a tutto il popolo esaltò la vita ammirabile, il fervore della predicazione e lo zelo per la fede dell’estinto ed ebbe accenti di esecrazione per tanto mostruoso delitto. Poi recandosi in massa al convento dei frati la salma venne seppellita con tutti gli onori della chiesa.

Terminate le esequie, l’omicida sottoposto a stringenti interrogatori finì col confessare tutta la verità rivelando la congiura degli eretici. Ma costoro sopportando male la condanna a morte dell’omicida, corruppero con denaro il Podestà e l’omicida riuscì a fuggire. Risaputasi la cosa in città, il popolo cattolico preceduto dal labaro dell’Arcivescovo irruppe nella casa del Podestà insieme con lo stesso Arcivescovo e non trovato il Podestà uccise il suo destriero, saccheggiò la sua abitazione e di là trasportandosi al Palazzo del Comune dove si era rifugiato il Podestà con tutta la sua famiglia gridava che si bruciasse il palazzo con tutti quelli che vi erano dentro…»