Il Santuario: architettura e arte

La costruzione è stata progettata da Girolamo Quadrio, architetto ufficiale della congregazione dei Seminari milanesi, della fabbrica del Duomo di Milano dal 1659 al 1677 e di famiglia Arese. La grandiosità della costruzione impegna il lavoro per più anni, dal 1662 al 1685, epoca in cui i lavori furono ultimati. Girolamo muore nel 1679 ed il figlio Gianbattista gli succede nella direzione dei lavori, data l’abitudine che Girolamo aveva di servirsi del figlio quale aiuto per ciò che concerneva la direzione e il controllo delle opere a lui affidate.

Il Santuario è di stile barocco molto contenuto e fuso bene con la struttura ancora rinascimentale. È un’architettura strutturalmente ancora di passaggio, tra l’imponenza classica del ’500 e le forme curve e capricciose del barocco.

Il corpo architettonico è dato da una massa centrale a forma rettangolare che accoglie i fedeli. Su ogni lato di questo rettangolo si erge una volta a botte, molto stretta, tanto da rassomigliare ad un grande arco. Questi grandi archi chiudono, inscritta nel rettangolo, una grande volta a cupola, la cui base ha la forma di un’ellisse.

Ai quattro angoli del grande rettangolo vi sono come quattro torri quadrate, i cui muri perimetrali danno origine, verso la facciata, ai due campanili (dei quali soltanto uno è stato terminato) e, verso l’altare, ad un passaggio verso la sacrestia (a destra guardando l’altare) e verso il coro a sinistra.

Osserviamo ora la parte architettonica riservata all’altare, ossia il presbiterio. Solitamente il presbiterio e il coro si attaccano sul lato più piccolo della chiesa, invece, in questa costruzione si attaccano sul lato più grande come del resto la facciata.

Le due cupole

Vi sono proprio due cupole: una è visibile all’esterno e s’innalza alta e ardita sopra l’altare maggiore, l’altra è bassissima e a forma quasi circolare (ellittica) e si trova sul grande rettangolo della parte riservata ai fedeli. È talmente bassa questa cupola che è coperta dallo stesso tetto che copre la chiesa.

La prima invece è una strana cupola, fatta da un muro che sale diritto su una base a forma di cerchio e forma il tamburo della cupola, in cui si aprono quattro finestre.

Esternamente, sopra questo tamburo, vi è il tetto basso, a forma di cono, e coronato dalla lanterna; nell’interno vi è la cupola a forma sferica piuttosto ribassata, piena di luce e vivida di tanti riflessi.

La facciata

Non è completa per la mancanza di uno dei due campanili. Sarebbe riuscita certamente slanciata, pittoresca e armonica; invece così mutilata riesce un po’ tozza. È divisa in due grandi bande orizzontali da un alto cornicione di tipo rinascimentale, che nel mezzo si trasforma in un timpano a linea rotonda, creando un effetto più vivo di chiaroscuro e dando risalto alla parte sottostante.

La parte inferiore è alleggerita nella sua massa uniforme, rotta soltanto da due nicchie, da lesene (i finti pilastri) riunite in fasci, terminanti con eleganti capitelli di stile corinzio.

Nella parte superiore, oltre il cornicione, al di sopra della porta, s’inserisce con gusto e senso classico un’altra finestra, mentre finte finestre alleggeriscono la superficie.

È proprio in queste false finestre che il barocco si è fatto presente con stucchi capricciosi e leggeri. Tutta la facciata in senso verticale è divisa in tre grandi campate; la centrale, con la grande porta e la snella finestra, individua la navata della chiesa, mentre le altre sui fianchi non sono che le due torri campanarie, che formano con la parte centrale un solo blocco architettonico.

Il campanile

Il campanile completo è solo quello di destra, che non è alto come torre campanaria, ma in proporzione alla chiesa è già fin troppo alto. Vi è un primo blocco (dov’è inserito l’orologio) piuttosto tozzo, che si amalgama poco bene con la parte soprastante, più snella e barocca. Sopra vi sta la cella campanaria propriamente detta, ad angoli smussati, davvero gaia per le sue curve e per i suoi rilievi, di gusto spiccatamente barocco. Il contrasto però tra la cella campanaria e il sottostante dado dell’orologio è alquanto notevole.

L’interno

Come si è già osservato la larghezza è superiore alla lunghezza della chiesa, cosicché entrando ci si dovrebbe accorgere di questa particolarità che non è a vantaggio dell’armonia dell’assieme; invece, la profondità del presbiterio, con l’ampiezza del suo grande arco e la cupola soprastante, correggono questo difetto e anzi danno all’interno un maggior senso di profondità.

Il complesso non è soltanto di grande effetto architettonico, ma anche di pieno effetto armonico. Se però si alza lo sguardo verso la prima cupola sopra la navata della chiesa, ci si accorge che è di forma ellittica e, di conseguenza, che il vano è davvero più largo che lungo, misurando infatti 12,50 m in larghezza, da pilastro a pilastro, e 11 m in profondità.

Meraviglioso poi è lo slancio verticale, ardito e pittoresco, in uno schema di chiara proporzione.

Mentre la facciata è divisa in due grandi fasce orizzontali, con due ordini di lesene, uno sovrapposto all’altro, nell’interno invece le lesene salgono fino all’unico grande cornicione, dal quale ripartono i quattro grandi archi.

Tutto ciò contribuisce a dare all’interno una spinta in altezza, la quale è aumentata anche nell’ampiezza del cornicione.

Se avete l’avvertenza di soffermarvi vicino alle cappelle laterali con le spalle all’ingresso e di alzare lo sguardo verso l’insieme architettonico, specialmente verso il cornicione, una visione incantevole si dipingerà ai vostri occhi, specialmente se la luce calda del sole traboccherà dalla cupola.

Prima di soffermarvi ad ammirare le due cappelle laterali, ritornate nel centro e alzate lo sguardo verso il grande affresco della fine del 1600 sulla volta ellittica. È una visione di cielo, di paradiso. In un’ebbrezza di luce e di colore, compare la Vergine del S. Rosario, maestosamente seduta sulle nubi sorrette da putti; intorno, una ridda di putti, di angioletti, di angeli in grande scorcio prospettico, in roteare di corpi.

Le cappelle laterali

Le cappelle laterali sono due: una dedicata a S. Domenico (a destra), l’altra alla Madonna del Rosario. Nella cappella votiva a S. Domenico c’è un magnifico quadro, ben conservato, raffigurante San Domenico e San Pietro da Verona: i colori sono vivaci, il disegno sicuro e morbido. All’altare dedicato alla Vergine c’è invece una statua molto alta della Vergine, opera insigne di Dionigi Bussola, scultore che lavorò anche nel Duomo di Milano e nelle cappelle del Sacro Monte di Varese. La statua è di gusto barocco: flessuoso e morbido il panneggio, grazioso è il Bambino Gesù, solennemente materna la Vergine Maria. Al mattino, quando il sole entra a lato della nicchia, il marmo si fa giallo oro, dando alle figure un tono caldo e luminosissimo.

L’altare maggiore

È pregevole per il gioco dei vari marmi di Varenna e i gialli di Siena: è importante e sontuoso nella sua struttura a forma di mausoleo: forma che quasi mai s’incontra nelle nostre chiese. Ai lati del presbiterio vi sono due grandiose tele.

Le tele del presbiterio

Quella di sinistra raffigura S. Pietro martire che predica all’aperto, protetto da una nube miracolosa. È un dipinto su tela (3,74 x 6,04 m). Porta la data del 1670 ed il nome dell’autore Agostino Santagostino. Le notizie intorno all’autore sono scarse. Nativo di Milano, appartiene ad una famiglia di pittori, a cui venne affidata la decorazione di parecchie chiese nel milanese. Morì nel 1706. Centro ideale e reale del quadro è la figura di S. Pietro, alto 2 m. Ha un atteggiamento tutto spirituale: occhi rivolti al cielo, volto sereno e sorridente, mano delicatamente rivolta verso l’alto. La luce viene dall’alto: è Dio che parla per bocca di S. Pietro.

La tela di destra rappresenta una battaglia tra cattolici ed eretici. Non si può dire con certezza quale battaglia ricordi. Pare rappresenti uno scontro avvenuto in Firenze nel 1244, dove S. Pietro si trovava per difendere la religione e la città dalle violenze degli eretici. È anch’essa un dipinto su tela, delle stesse misure, e porta la stessa data del 1670, ed il nome dell’autore: Gian Battista Costa. Dell’autore abbiamo pochissime notizie. Milanese d’origine, svolse la sua attività in unione ai fratelli Santagostino. All’esame del quadro, balzano subito due particolari importanti. Una luce misteriosa investe i personaggi di primo piano da sinistra a destra, come simbolo del favore di Dio in aiuto ai cattolici. Questa luce illumina un soldato in fuga, il quale si difende con il coltellaccio, simile a quello che si venera nella cripta. La figura di S. Pietro è piena d’autorità, mentre trattiene gli eretici con la croce. Grazioso è l’atteggiamento del paggio (a sinistra), mentre osserva meravigliato il frate.

La cripta

Nel 1900, sotto l’altar maggiore, venne scavata una cripta. Vi si collocò un altare di legno e sulla parete di fondo venne affrescata dal pittore Rivetta la scena del martirio di S. Pietro. Nel 1952 fu rinnovata la decorazione della cripta. Con marmi e mosaici furono ornate le pareti e la piccola cupola, che riflettono la loro luce d’oro sull’altare di marmi pregiati, che domina nel centro.

Sulla parete frontale campeggia una tavola con l’immagine devota di S. Pietro, dipinta da Vanni Rossi.

Sotto l’altare furono raccolte le reliquie, fra cui il “coltello” che la pia tradizione vuole sia stato lo strumento del martirio del Santo.